Pretendono la vocazione perfetta?

La tentazione di pretendere la “vocazione perfetta” è purtroppo in tutti gli schieramenti, dal più profondo progressista al più avanzato tradizionalista.

I progressisti pretendono la vocazione perfetta: promuovono solo persone mediocri (ai loro occhi “docile” significa “mediocre”), senza carattere, sempre pronte all'(iper)attivismo da sagrestia, indifferenti (se non entusiaste) di fronte al fantasismo liturgico d’accatto; il modo peggiore per presentare la propria vocazione è mostrarsi convinti della propria chiamata, appassionati nella difesa della fede, acculturati o addirittura laureati in materie non teologiche, simpatizzanti per la tradizione.

I tradizionalisti commettono lo stesso errore ma con qualche colorazione diversa: pretendono la vocazione perfetta, cioè un giovane studioso, magro, adeguatamente rasato, prontamente riprogrammabile (ai loro occhi “docile” significa “riprogrammabile come un robot tradizionalista”); il modo peggiore per presentare loro la propria vocazione è essere italiani, avere almeno 29 anni, non ripetere pedissequamente le frasi dello stupidario tradizionalista, non agire come un robot tradizionalista.

Lo spirito tradizionale è una santa cosa, il tradizionalismo no. Il tradizionalismo è una fissazione, è l’errore specularmente opposto al progressismo.

Per quel che riguarda le vocazioni, infatti, possiamo per esempio ricordare quella piccineria spirituale del non accettare vocazioni ultratrentenni, ultratrentacinquenni, perché non sarebbero plasmabili, non sarebbero incastrabili nella ferrea disciplina (cioè in quella sorta di legalismo protestante in talare e breviarium).

Nel mondo tradizionalista, in nome di una imprecisata purezza della razza, la formazione al sacerdozio non è un far emergere vocazione e talenti di un uomo al servizio della Chiesa secondo lo spirito tradizionale, ma è invece il programmare e controllare minuziosamente un robot tradizionalista sradicando qualsiasi altro aspetto umano, erroneamente convinti che ciò comporti automagicamente impeccabilità liturgica, purezza morale e ortodossia dottrinale.

La dimostrazione di quanto affermo è non solo nel disciplinarismo e nel luddismo degli ambienti tradizionalisti (per esempio quando vietano internet e telefonini come se fossero sentine d’ogni stravizio), ma anche nello spessore umano di ormai tanti preti tradizionalisti, robot liturgici a tutti gli effetti, che vivono come se la santità e la felicità fossero due cose distinte, cioè come se l’ascesi fosse un perbenismo da copertina della Torre di Guardia ma in salsa ancien régime.

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