Mobbing clericale

Il mobbing è un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione…) perpetrati da parte di uno o più individui (detti mobber) nei confronti di un altro individuo (vittima), comportamenti prolungati nel tempo e lesivi della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. I singoli atteggiamenti molesti non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell’insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza.

Normalmente quando si parla di mobbing si intende il mondo del lavoro. Il termine però è utilizzato in più campi (famiglia, società, scuola…) perché in qualsiasi aggregazione umana è possibile trovare casi di mobbing: per questo non deve destare alcuna meraviglia la presenza di casi di mobbing nel mondo ecclesiastico nei cosiddetti ambienti di formazione.

In tale caso si può definire il mobbing nello stesso identico modo sopra riportato, con la differenza che al posto del lavoratore c’è una persona in formazione (ovvero in verifica vocazionale per diventare prete, suora, frate, monaca…) mentre al posto dei mobber ci sono i formatori (cioè quanti sono preposti al discernimento vocazionale più i loro eventuali complici).

Lo scopo del mobbing nel campo della suddetta formazione è quello di indurre un formando sgradito all’autoallontanamento spontaneo attraverso tutta una serie di pressioni e vessazioni di tipo pressoché esclusivamente morale o psicologico.

Il motivo per cui ciò avviene è la peculiarità della formazione al sacerdozio o alla vita consacrata.

Nel mondo del lavoro vigono standard esterni da rispettare (leggi, convenzioni, contratti… strutture, responsabilità, statuti…) e che in caso di contenzioso possono essere verificati fuori dal proprio ambiente (cioè in tribunale).

Negli ambienti di formazione sopra citati, invece, molti degli standard sono interni e la valutazione dei casi avviene attraverso rapporti di fiducia prima che attraverso regolamenti. Per esempio un vescovo non può essere costretto a conferire un’ordinazione sacerdotale; la selva di “a suo insindacabile giudizio” è talmente ampia da non poter considerare il tribunale ecclesiastico come equivalente di quello civile.

Chi si stupisse chiedendosi come sia possibile il mobbing in un ambiente dove frequentemente ci si allena a interrogarsi sul valore delle proprie azioni (esame di coscienza), deve ricordare che – sebbene in maniera spesso assai discutibile – il mobbing viene considerato dai suoi perpetratori come il male minore da preferire ad un male peggiore.

Il mobbing dei formatori ottiene generalmente grande risultato con il minimo sforzo a causa del contesto: i formandi sono in posizione particolarmente debole. Elenchiamo qui qualche motivo:

1. I formandi sanno che fino al termine del percorso (cioè fino al momento dell’ordinazione sacerdotale o della professione solenne) saranno sempre fondamentalmente ricattabili in quanto in posizione di totale debolezza. Per esempio è prassi tipica di punire (o vessare) un candidato al sacerdozio decidendo all’ultimo momento di rinviare per mesi o addirittura anni l’ordinazione. Oppure, per giocare un atout contro il formando, lo si può minacciare di sospensione per un anno (punizione vilmente chiamata pausa di riflessione, come se fosse stata chiesta dal formando anziché dai formatori), tempo durante il quale viene ancor più incisivamente controllata la buona condotta del formando.

2. Nell’accedere al cammino di verifica vocazionale, i formandi hanno concretamente messo in gioco una consistente fetta della propria vita (la formazione al sacerdozio dura non meno di sei anni, periodi almeno altrettanto lunghi sono dovuti per l’accesso alla professione solenne nelle comunità religiose) ed ogni incertezza o prolungamento è causa di prevedibili sofferenze; al contrario, i formatori non rischiano nulla, forti del poter giocare con gli anni della vita altrui come se fossero noccioline.

3. I formandi hanno messo in gioco molto altro (la propria credibilità, la propria immagine, spesso le risorse economiche proprie, della propria famiglia, dei propri benefattori, la propria serenità nell’adesione alla Chiesa) per cui ogni ingiusto provvedimento è un grave dolore che si propaga anche ad altri e non di rado mette in crisi anche il rapporto con la Chiesa (come posso elogiare la Chiesa che maltratta la mia buona fede? chi mi crederà se affermo che questa evidentemente ingiusta oppressione sarebbe tutto sommato volontà del Signore espressa attraverso la gerarchia ecclesiale?)

4. In caso di problemi durante la formazione, i non addetti ai lavori metteranno in dubbio sempre e solo la buona fede dei formandi (ostinandosi a supporre che i formatori, scelti di proposito per quell’incarico, sappiano bene quel che fanno). Infatti, funzionando la gerarchia su rapporti di fiducia, il metterne in dubbio un piano diverso da quello più basso rischia per coerenza di far dubitare di tutti gli altri piani superiori.

5. Esiste anche un problema morale: il formando ingiustamente trattato ha difficoltà a rendere pubbliche le malefatte di coloro che lo vessano perché raramente l’interlocutore sa distinguere fra critica al sacerdote (persona che può sbagliare) e critica al sacerdozio (cioè al sacramento, cioè alla Chiesa tutta), contrariamente al mondo del lavoro dove criticare l’operato di un manager non significa criticare l’intera categoria dei manager.

6. Un’ulteriore difficoltà deriva dal fatto che gli stessi metodi utilizzati per vessare innocenti sono spesso utilizzati anche per vessare colpevoli (cioè i formandi che per qualche motivo -spirituale o morale- si sono rivelati oggettivamente inadatti, ossia privi degli elementi di base della vocazione); spesso i formatori temono di dare indicazioni chiare (cioè esplicitamente dimettere qualcuno per giusta causa), preoccupati da fattori esterni (per esempio il non voler affrontare un contraddittorio, l’incapacità di esprimere le proprie ragioni, il rispetto di equilibri umani e di reti di amicizie).

Si può dunque parlare di mobbing clericale se si tengono presenti le particolarissime circostanze e se si riconosce che la generale mediocrità del clero è dovuta anzitutto alla persecuzione di vocazioni sane.

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